top of page
  • Pierfrancesco Matarazzo

Pronti a ripartire, ma per andare dove? È il momento di costruire temerarie futures practices.

Aggiornamento: 19 nov 2020

C’è una vignetta del New Yorker che mi ha particolarmente colpito in questo periodo di lock-down italiano e globale.



Il disegnatore raffigura una famiglia tipo newyorkese, ma forse anche milanese (uomo, donna, cane, gatto, niente figli) seduta sul pavimento del suo appartamento a fissare la porta di casa in attesa che qualcuno la liberi, permettendogli di andare finalmente a spasso.

Da New York a Milano, da Parigi a Londra, da Mumbai a Johannesburg, siamo tutti chiusi in casa ad aspettare che il politico di turno ci porti a spasso, in quell’aria tiepida e invitante che la primavera sta diffondendo (almeno in Italia) come a voler unire al danno la beffa.

Giuriamo e spergiuriamo che non ci lamenteremo più di doverci svegliare alle 06:00 per essere in ufficio alle 09:00, siamo ansiosi di essere immersi in quella fragranza naturale creata da centinaia di persone compresse in un vagone della metro o di un tram. Saremmo disposti a parlare per ore davanti alla macchinetta del caffè con quel collega fanatico di Star Wars così amabilmente logorroico (fuori orario di ufficio, s’intende).

E il nostro capo? Non c’è mai mancato tanto. Perché sì, parlarci a distanza è bello, ma cosa non daremmo per essere rinchiusi nella stessa stanza a lavorare fino a tardi, mentre si innervosisce (mai a sproposito) e ci incenerisce con lo sguardo per i nostri (rarissimi) errori?



Se siete arrivati a leggermi sino a qui e lacrime di speranza hanno solcato i vostri volti, devo subito infrangere il sogno: questo non accadrà e per parecchio tempo.

Cari Professionisti e cari Manager a cui ho offerto in questi giorni una spalla da inondare con i vostri ‘non è possibile’ e ‘non so proprio come faremo’, devo darvi una notizia: è successo e un modo dovrete trovarlo, assai presto.

So che è difficile affrontare questo periodo e che l’incertezza che ci viene in contro come uno tsunami emotivo rischia di farci bloccare, ma il mondo attorno a noi si muoverà comunque, anzi lo sta già facendo ed importante passare dal rifiuto all’accettazione. Se volete essere leader visionari al pari di Churchill, Mandela, Lincoln e Snoopy, non potete limitarvi ad aspettare che qualcuno vi liberi. Quel giorno arriverà, per questo è importante avere un piano pronto che non si limiti alla giornata, al trimestre o all’anno. Bisogna essere coraggiosi, perché la capacità di anticipare, disegnare e immergersi nelle futures practices del settore in cui operate è diventata vitale in una crisi globale come quella che tutti insieme affronteremo nei prossimi mesi.



Tutti i trend e i forecast su cui abbiamo costruito obiettivi e budget andranno rivisti, alcuni dei nostri clienti B2B potranno essere chiusi, migliaia di consumatori (milioni globalmente) potranno aver cambiato le loro priorità e con esse le loro logiche di spesa, le infrastrutture digitali, economiche, sociali e relazionali su cui abbiamo fondato il nostro sistema impresa fino al lock-down potrebbero non soddisfare più i nostri bisogni.

È questo il momento per chiederci quanto sia resiliente il nostro core business alla luce di questi cambiamenti. La risposta non arriverà subito, ma è vitale cominciare a pensarci ora, considerando orizzonti di almeno dieci anni. So che può sembrare assurdo, quando non si sa come sbarcare il lunario di questo 2020, ma solo così potremo sviluppare un’attitudine al cambiamento abbastanza ampia e solida da identificare nuovi obiettivi realistici, con cui (ricordiamolo sempre!) riuscire a motivare le persone che quegli obiettivi dovranno raggiungere insieme a noi.



Nei primi anni del XXI secolo, ai margini della crisi subprime del 2008, nessuno degli analisti, esperti o giornalisti economici prese in considerazione i numerosi segnali che rendevano ampiamente prevedibile quell’evento. Una delle ragioni fu il cosiddetto wishful bias, ossia il preconcetto che quell’evento fosse talmente indesiderabile da diventare impossibile. Oggi dobbiamo stare attenti al fenomeno opposto. Lo potremmo definire nightmare bias, sarebbe facile trasformare il rifiuto della situazione che viviamo e la sofferenza che ne deriva in una profezia auto-avverantesi così fosca da chiuderci ogni possibilità di rinascita.



In un articolo apparso su la Repubblica l’economista e banchiere bengalese Muhammad Yunus (inventore del microcredito e premio Nobel per la pace) ci ricorda che siamo di fronte a un’opportunità di cambiamento senza precedenti. Il virus ha “spalancato davanti ai nostri occhi possibilità temerarie. Siamo di fronte a uno schermo vuoto da riempire con l’HW e il SW necessario a far ripartire la macchina economica in qualsiasi direzione, magari con maggiore consapevolezza sociale e ambientale. Qualcosa in questa direzione è già avvenuto (pensate solo allo smart working diffuso di dipendenti pubblici e privati), dimostrando che le nostre persone hanno livelli di flessibilità, creatività e empatia molto più elevati dell’atteso, capacità su cui si fonda il pensiero prospettico e anticipatorio. È arrivato quindi il tempo di costruire su questo presente un futuro sostenibile, ricordando che, come scriveva George Bernard Show, le persone si affezionano alle proprie difficoltà più di quanto le difficoltà si affezionino a loro.

179 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page