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  • Pierfrancesco Matarazzo

Le domande flipper e l’anima di un coach - Viaggio fra scenari futuri





Anche i coach hanno un’anima.


E come portatori di questo regalo (divino o materico che sia, a seconda delle vostre convinzioni e letture), sono soggetti a momenti di gioia estrema e buia depressione, come tutti voi. Intendo i ‘voi’ non-coach. Solo che, mentre voi potete esprimere la gioia e la frustrazione, con particolare predilezione per quest’ultima (un giorno mi spiegherete perché), i coach non possono farlo.

Devono ascoltarvi, supportarvi e trovare la domanda giusta da porvi, quella che in idioma ‘coachese’ si chiama ‘domanda potente’. Un interrogativo che vi offra un diverso punto di vista, che vi aiuti a trovare in voi stessi le energie e la consapevolezza delle competenze che vi faranno doppiare la boa della giornata e magari del percorso di sviluppo che avete scelto.


Ma chi si occupa dei momenti bui dei coach?

Altri coach. Sì, una buona risposta, ci sono i mentor coach, ossia saggi e esperti senior coach che, come l’originale precettore a cui Ulisse affida il figlio Telemaco, aiutano il coach a mantenere saldo il suo equilibrio e a potenziare le proprie competenze. Insomma, evitano che i coach, inondati dalla valanga di frustrazioni dei loro clienti, si trasformino in Michael Douglas in Un giorno di ordinaria follia (ricordate il film di Joel Schumacher del 1993?).

Mi ci ha fatto pensare un cliente, qualche giorno fa, quando, finita la nostra sessione di coaching, si dichiarava felice di avere il suo piano d’azione fra le mani per risolvere un problema che all’inizio dell’incontro gli sembrava insormontabile. Mentre sorrideva, ha sollevato gli occhi dal suo tablet e mi ha detto: “Sai che questa roba funziona davvero? – ‘roba’ è uno slang con cui il cliente si riferisce al percorso di coaching – certo, io non ce la farei proprio ad ascoltarmi. Ma tu, dove la trovi tutta questa energia?”



Già, dove la trovo tutta quell’energia?

Nella soddisfazione di vedere come, anche grazie al mio lavoro, una persona compia un percorso di crescita professionale che la renda più soddisfatta (in linea con il proprio sistema di valori); nella sfida che ci offrono le dinamiche relazionali, sempre più accidentate, complesse, meravigliosamente arricchenti e sorprendenti; dall’energia dei clienti, che si riattiva grazie alla domanda ‘giusta’ posta durante una sessione di coaching, energia che nutre anche il coach. Tutte risposte in cui credo, altrimenti non potrei fare questo lavoro, eppure la mia mente non sembrava ancora soddisfatta.


Mentre tornavo a casa, era una sessione in presenza (che emozione tornare a confrontarsi con le persone dal vivo), la domanda del mio cliente continuava a rimbalzarmi nella testa, come una biglia in un flipper con le palette bloccate: “Dove la trovavo tutta questa energia? Cosa sarebbe accaduto se si fosse esaurita? Come avrei reagito? Quali altre fonti energetiche avrei potuto trovare in quel caso?”. Sì, i coach usano le domande anche con loro stessi e non sono mai soddisfatti 😉, ma questa, come direbbe Bastian nel film La storia infinita, è un’altra storia.



Per fermare la biglia del pensiero, ho acceso la musica, un potente facilitatore dell’immaginazione divergente, che spesso ci guida oltre la nostra area di comfort, lì dove gli scenari alternativi di futuro si confondono e si sovrappongono. Dove il probabile diventa noioso e il preferibile a portata di mano. È lì che le idee migliori fanno il nido. A me è venuto in mente il lungometraggio danese che quest’anno ha vinto il premio Oscar come miglior film straniero. Mi riferisco a Another round, del regista Vintenberg, co-creatore del movimento Dogma 95 insieme a Lars von Trier, che racconta la storia di un quarantenne che ha un buon lavoro, una bella casa, una famiglia che lo ama e un gruppo di amici disposti a perdonargli ogni pazzia, purché condivisa. Un uomo felice, potreste osare dire. Ebbene, no, Martin, l’uomo in questione, si sta spegnendo da anni, finché una sera, senza un motivo apparente, durante una cena alcolica con i suoi amici, comincia a piangere.


Da lì inizia un viaggio nel suo futuro totalmente diverso da quello che lui stesso si aspettava. Martin decide di smetterla di stagnare in un percorso che lo porterebbe a uno scenario futuro probabile, immaginando e concretizzando delle sue versioni più audaci, veri e propri scenari futuri alternativi altamente improbabili, eppure realizzabili.

Non vi voglio svelare di più di questo energetico e meravigliosamente disturbante film, andate a cinema a vederlo, ma è proprio fra le sue pieghe che io ho trovato la risposta alla domanda del mio cliente: “ma tu, dove la trovi tutta questa energia?”




Ebbene, il primo passo è iniziare a cercarla fuori dal nostro percorso abituale, in scenari che siano il più possibile divergenti dalla nostra attuale realtà. Perché il futuro non è un sostantivo singolare, ma un verbo plurale (futurizzare, permettetemi il neologismo) e noi possiamo provare a influenzarlo. Ci sono studi, metodologie e tecniche di Futures & Foresight applicabili concretamente e proficuamente a un progetto di crescita personale e professionale, che permettono un’accelerazione del percorso di consapevolezza, ma perché possano funzionare, il primo passo è iniziare a immaginare percorsi alternativi da compiere, scenari futuri altri su cui atterrare fra due, cinque, dieci anni e partire a ritroso da lì.


Buon viaggio!

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